Ipoacusia e demenza, quale correlazione?

 ipoacusia e demenza

Ipoacusia e demenza – Spesso nel mio lavoro di consulente mi capita di eseguire della valutazioni strumentali dell’esposizione al rumore sul lavoro e di constatare livelli di esposizione personale che potrebbero arrecare un danno uditivo ai soggetti esposti. A volte, l’unico (o il più immediato!) modo per proteggere il lavoratore è quello di suggerire idonei dispositivi di protezione individuale dell’udito… tappi, cuffie, inserti per intenderci, dispositivi che spesso non vengono utilizzati.

Perché? A volte i lavoratori si giustificano con frasi del tipo “ma per un lavoro di pochi minuti…”, “è tanti anni! Ormai mi sono abituato, non mi da più fastidio!”, “tanto, sono già sordo!”.

Purtroppo bisogna ammettere che dietro a queste risposte c’è di base una non conoscenza del rischio, oppure una non corretta percezione del rischio che pare quasi di “costume”: “Se un bambino sente poco è automatico suggerire una protesi acustica, se un cinquantenne non riesce più a leggere il giornale è automatico che inforchi gli occhiali: è mai possibile che su 7 milioni di ipoacusici solo 700.000 portino gli apparecchi acustici?” Prof R. Bernabei Università Cattolica ROMA.

Eppure gli effetti negativi di esposizione al rumore, dagli effetti extra-uditivi a quelli uditivi, possono essere notevoli, fino alla perdita della capacità uditiva (ipoacusia).

Forse non siamo ancora consapevoli che:

  • il danno all’udito può essere causato non solo da un’esposizione cronica a un rumore ma anche se esposti a un singolo rumore particolarmente intenso;
  • se i dispositivi di protezione dell’udito non sono utilizzati anche per brevi periodi la protezione effettiva si riduce sensibilmente;
  • l’ipoacusia è irreversibile. Il danno neurologico è permanente e può peggiorare ma, fortunatamente, smette di progredire cessata l’esposizione al rumore;
  • l’ipoacusia è graduale. Il soggetto non si accorge subito dei danni che il suo udito sta riportando. Gli stadi dell’evoluzione dei danni da esposizione a rumore possono essere così riassunti:
    • Il primo periodo dura per le prime settimane di esposizione al rumore; è caratterizzato spesso dalla presenza di acufeni e sensazione di “orecchio pieno” (fullness), cefalea, senso di fatica e di stordimento alla fine del turno di lavoro. Superato questo primo periodo, i sintomi tendono ad attenuarsi.
    • Il secondo periodo può durare da alcuni mesi ad alcuni anni. Il soggetto in pratica non ha sintomi, il danno uditivo è rilevabile solo mediante l’esame audiometrico (innalzamento della soglia audiometrica di 30-40 dB sui 4 kHz, che si estende spesso anche ai 3 e 6 kHz).
    • Nella terza fase il soggetto comincia ad accorgersi di perdere l’udito: ha difficoltà a sentire il ticchettio dell’orologio e ad alza il volume della televisione per comprendere meglio quanto trasmesso. Si hanno le prime difficoltà a percepire alcune parole.
    • Nel quarto stadio il deficit uditivo diventa grave con un innalzamento della soglia uditiva anche alle frequenze medie. La fase è caratterizzata da acufeni, recruitment e displacusia.

Inoltre, l’esposizione a rumore può causare anche effetti extrauditivi che possono coinvolgere l’apparato cardiovascolare, con fenomeni di vasocostrizione periferica, aumento della pressione arteriosa, problemi all’apparato respiratorio, digerente, endocrino e gastroenterico. L’esposizione a rumore può provocare anche un aumento dello stato di vigilanza o una diminuzione dell’attenzione, quale conseguenza il soggetto può soffrire di insonnia, irritabilità e addirittura sindromi ansioso-depressive. Aumentano anche le probabilità di incorrere in infortuni.

Negli ultimi anni sono stati condotti una serie di studi che hanno messo in stretta correlazione la perdita dell’udito e la demenza, ovvero il declino cognitivo. Da questi studi risulta ad esempio che un deficit moderato dell’udito può aumentare di tre volte il rischio di sviluppare una forma di demenza: gli anziani con una forma importante di ipoacusia hanno il 24% di probabilità in più di compromettere le proprie abilità cognitive, come la concentrazione, la memoria e la capacità di pianificazione.

Il Dott. Frank Lin (Johns Hopkins University di Baltimora) intervenuto al Workshop internazionale tenuto a Bologna nel 2014 sul legame tra perdita di udito e demenza ha spiegato “L’opinione comune è che la perdita di udito sia una semplice conseguenza dell’invecchiamento. In realtà gli studi più recenti mostrano come l’ipoacusia possa influire sulla buona salute del cervello. Così, si ipotizza che un trattamento efficace dei disturbi dell’udito possa aiutare a prevenire il declino cognitivo”.

Siamo consapevoli di tutto questo? Evidentemente no altrimenti indosseremmo i DPI sempre e per tutto il periodo di esposizione al rumore.

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